ESISTENZIALISMO E ALTERITÀ IN “FUORI DI ME”
ESISTENZIALISMO E ALTERITÀ IN “FUORI DI ME”
Photo Source: Antonino Rampulla
Se non lo avessi saputo prima, mai avrei potuto pensare che Fuori di Me fosse uno spettacolo realizzato non da navigati attori teatrali, bensì da comunissime persone che solo lo scorso gennaio si sono avventurati nel laboratorio di creazione teatrale condotto a Messina da Lelio Naccari, che quindi fino a qualche mese prima fossero bianche delle basi minime per sostenere un tale impegno teatrale. Anche se nessuno a conoscenza della genesi di questa performance avrebbe mai preteso che tecnicamente dessero più di quanto dato, aprioristicamente perdonando quel paio di fisiologiche sbavature, tra i nove novelli performer teatrali alcuni non stonerebbero affatto in una compagnia di attori professionisti.
Bisogna dunque dare atto a Lelio Naccari del magistrale lavoro svolto, plasmando dall’eterogeneo capitale umano a disposizione un affiatato gruppo di attori in grado di incollarti sulla poltroncina per un paio d’ore, senza elicitarti mezzo sbadiglio...
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Ho conosciuto il Lelio Naccari autore teatrale con i suoi precedenti Tutto e Famoso – Per un pugno di like. Anche in quest’ultimo Fuori di Me emerge chiaramente la sua vena esistenzialista e, passatemi la definizione, psicoanalitica.
Lelio Naccari ama particolarmente spiattellare in faccia allo spettatore quell’ovvio grezzo e imbarazzante che ci illudiamo di poter nascondere a noi stessi. Così, al termine di una sua rappresentazione teatrale, ci si ritrova a riflettere sull’eventuale nostra misconosciuta e intima essenza, chiedendoci se questa non coincida proprio col personaggio che abbiamo voluto fare di noi stessi. In altre parole, siamo realmente come vogliamo apparire? O l’abitudine a mostrarci in un certo modo agli occhi del mondo non è altro che un velo che ci impedisce di andare a fondo nella conoscenza noi stessi e, conseguentemente, degli altri?
Così si lega indissolubilmente alla precedente domanda esistenziale l’incontro/scontro con l’altro, per Lelio Naccari non considerato come una necessità, come un bisogno, ma come un’opportunità per andare a fondo nella conoscenza di noi stessi e da affiancarsi, anche solo per breve tempo, come compagno di viaggio. Tuttavia nelle sue rappresentazioni, in linea con la contemporanea filosofia dell’alterità, ho sempre avuto l’impressione che l’io in realtà si potesse definire e compiere solo nella relazione con l’altro, come se l’assenza di tale relazione fosse una dimensione sì possibile ma innaturale, quindi necessaria.
A uno sguardo attento, non possono sfuggire i temi filosofici che la scrittura di Lelio Naccari tange: il risultato è la non immediatezza delle sue performance teatrali. O meglio, lo spettacolo scorre, emoziona, appassiona, diverte, ma è come se viaggiasse su due livelli di comprensione: il primo, immediato, è il livello dell’intrattenimento; il secondo è una sorta di livello filosoficamente esoterico, che cogli solo se in possesso di determinati strumenti. Ciò stimola un processo di riflessione nello spettatore che porta a un’interpretazione soggettiva rispetto a quanto si è assistito. In parole povere, Lelio Naccari non dà nulla col cucchiaino: vuoi il significato? Rifletti.
E questo, per il sottoscritto, è un assoluto pregio.
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Colgo quindi l’implicito invito di Lelio Naccari alla riflessione. Questa è la mia soggettivissima interpretazione dello spettacolo a cui ho assistito il 26 maggio 2019. Chi non desidera spoiler termini pure qui la lettura…
Fuori di Me risulta un collage di episodi apparentemente slegati tra loro che mi ha un po’ ricordato Cloud Atlas delle neo-sorelle Wachowski.
L’incipit è affidato allo stesso Lelio Naccari che ripercorre teatralmente i motivi e i presupposti che hanno condotto alla realizzazione di Fuori di Me. L’intenzione dichiarata è di ribaltare i canoni classici non solo facendo del “dilettantismo” degli attori un punto di forza ma anche strutturando la “trama” sulle loro stesse suggestioni.
In Fuori di Me la vita, ossia la storia delle relazioni con gli altri, è paragonata a un viaggio, al desiderio di conoscere luoghi e culture diverse. Così il giusto atteggiamento nei confronti dell’altro, del nuovo, del diverso è la curiosità, perché questi possono divenire opportunità d’arricchimento e non necessariamente di scontro.
A luci soffuse, sul palco lentamente si struttura una sorta di ordinata danza in cui gli attori indossano delle maschere, si muovono schematicamente senza mai scontrarsi, evitandosi, per non rischiare un autentico incontro/scontro. La mia impressione è che rappresentasse l’universo delle ordinarie e comuni relazioni umane, intermediate (per chi ha un po’ di dimestichezza con la filosofia contemporanea) dalla Dittatura del si heiddegeriana. Analogamente al Mito della caverna, uno degli attori si libera dalle catene, ossia dalla maschera, accorgendosi dell’artificiosità della vita finora vissuta, manifestando lo stesso sgomento di un Neo risvegliatosi nel mondo reale.
È il turno dell’apparente sproloquio di un folle: il suggerimento sembra essere che solo dalla straordinarietà può avvenire la scoperta della novità. Tuttavia lo straordinario è di fatto una deviazione dall’ordinario. L’assoluta ordinarietà, ad esempio, dell’asino di Buridano, l’avrebbe condotto a morte certa: solo una scelta apparentemente illogica l’avrebbe salvato. Tuttavia, come dimostrato da Morin, la vita fortunatamente non procede ordinariamente: quando necessario, opera una scelta, un istintivo salto nel buio.
La scena si sposta poi all’interno di un ristorante dove cameriere e clienti sembrano in preda a un delirio di sincerità estrema, come se in quel momento il loro Super-io fosse in vacanza. Questa situazione apparentemente ideale rivela però conseguenze imbarazzanti. L’eccesso di autenticità, l’estrema trasparenza, l’essere completamente a briglie sciolte è forse un’altra maschera?
Nuova scena, nuova maschera: la motivazione economica. La consultazione di una maga degenera in un tentativo di estorsione di denaro, trasformando radicalmente il rapporto cordiale e formale iniziale.
Breve sketch: un uomo preferisce non rispondere a una telefonata per non turbare l’apparente tranquillità del momento, scegliendo di non rischiare.
Altra scena. In una cornice da gangster americano, con fare stanco, due uomini si siedono attorno a un tavolino. Uno dei due convince l’altro che, anche se lo detesta, non può fare a meno di stare con lui, in quanto suo angelo custode, convincendolo che riuscirebbe a vederlo perché in realtà morto da tempo: l’equivoco provoca realmente la morte per infarto del raggirato. Qui sembra che l’accento sia posto, al contrario della scena del ristorante, sulla totale assenza d’autenticità, ossia sulla menzogna.
Il “capitolo” successivo mostra una spocchiosa detective, soverchiante nei confronti della sottoposta e in costante ricerca di adulazione, incentrata solo su se stessa, incapace di empatia e di relazioni simmetriche. Ma qual è il motore dell’empatia? Ce lo rivela la scena successiva: è la pietà. Se l’unico rapporto con l’altro di cui si è capaci è di sfruttamento e sopraffazione, ne deriva anche l’impossibilità di prendersi cura dello stesso pianeta che si abita, verso il quale non si può che avere una relazione di sfruttamento. Così empatia, ecologia e pietà, per autore ed attori, risultano intimamente connessi.
L’intervista col vampiro rappresenta l’apice dell’ironia di Fuori di Me: tra battute volutamente adolescenziali e, come si dice dalle nostre parti, bastase, il poeta vampiro si rivela fatalista e oraziano. Per il padrone di casa è probabile che ci sia un disegno divino per tutto, che nulla avvenga per caso. Tuttavia nell’incertezza di conoscere il proprio destino, meglio godere edonisticamente appieno dell’hic et nunc: carpe diem!
Sul palco viene ora sistemato un tavolino in cui sono appoggiati un calice e un decanter di vino. L’atmosfera è surreale. Assomiglia a una celebrazione eucaristica. Una ragazza afferma, con stupore quasi kantiano, condito da misticismo cristiano, che Dio è dentro di noi e nei momenti di sconforto possiamo affidarci a Lui. Ho tirato un sospiro di sollievo per la presenza di una suora nella sala, aspettandomi di “peggio”. E invece no. Subito dopo, con naturale scioltezza, si passa a una dissacrante preghiera alla deificata cannuccia da cocktail al fine di trovarle un uomo adatto… In altre parole viene posto sullo stesso identico piano la presunta esigenza universale di spiritualità con una richiesta assolutamente egoistica e profana, come se nessuna delle due richieste fosse più legittima dell’altra, anzi, come se la seconda preghiera fosse meno ipocrita rispetto alla prima.
Lo spettacolo termina con un ballo catartico in cui viene anche coinvolto il pubblico.
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Fuori di Me mi è sembrato un’indagine sull’autenticità del rapporto con l’alterità alla quale si giungerebbe solo gettando la maschera, superando le proprie paure di mostrarsi per quel che si è (o si pensa che si sia). Tuttavia lascia il dubbio sull’opportunità di disfarsi sempre e comunque delle maschere, come fosse una regola, se in altre parole non sia meglio acquisire la capacità di disporne a piacimento, di scegliere il da farsi in relazione al momento. I vari capitoli infatti mettono in scena diversi livelli e aspetti del mascheramento/smascheramento e le loro conseguenze. Lo smascheramento, ossia la rinuncia a tutti i meccanismi di difesa personali e sociali, il mettersi a nudo nei confronti dell’altro, nella ricerca di rapporti meno timorosi e più autentici, passerebbe necessariamente dalla scoperta (prendendo in prestito un’espressione heideggeriana) dell’altro dentro di sé.
Sinceri complimenti a Lelio Naccari, Giuseppe Anastasi, Titti Cacciola, Salvo Aliotta, Gabriella Manganaro, Valeria Nisticò, Giulia Sammito, Nino Santamaria, Viviana Signorello, nella speranza di assistere a un secondo capitolo…
Text Source: Antonino Rampulla
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CART RUTS CUT FROM QUARRIES CART RUTS CUT FROM QUARRIES
Back to CART RUTS AND A FEW TOO MANY PROJECTIONS I will skip any preamble, referring to what has already been written regarding the presence of cart ruts in south-eastern Sicily. The easy academic tendency has been, in most cases concerning cart ruts, to consider them in terms of the latomie, or quarries, with which very often (for example in the cases of the Targia or Pizzuta districts) they share the same territory. According to this theory, the carraie would have been indirectly created due to the wear of the rock at each passage of carts or sleds loaded with extracted stone blocks. I will not repeat the arguments presented so far in order to demonstrate that this is a theory that has little solid foundations on an in-depth analysis of the cart ruts. However, I will add a piece by demonstrating the implausibility of a connection between them in both chronological and functional...
CART RUTS AND A FEW TOO MANY PROJECTIONS CART RUTS AND A FEW TOO MANY PROJECTIONS
Read also THE POLISHING OF THE CART RUTS I will skip any preamble, referring to to what has already been written regarding the presence of cart ruts in south-eastern Sicily.Considering the possibility that the cart ruts were gradually dug by the passage of carts pulled by pack animals, for example pairs of oxen, observing certain sections of the cart ruts present in the Granatari Vecchi district, in Rosolini, and in the Pizzuta district, close to the Vendicari Reserve, two questions arise: 1. Why force the animals to pass over rough surfaces and protrusions high, compared to the base of the furrows, even 60-70 centimeters? 2. Why, in the presence of such obstacles, not opt for a detour? For Mottershead, Pearson and Schaefer such protrusions appeared later, since at the time of the passage of the wagons, a layer of earth covered the rocky bank, thus not making the obstacle...
THE POLISHING OF THE CART RUTS THE POLISHING OF THE CART RUTS
Read also THE PROBLEMATIC EDGES OF THE CART RUTS I will skip any preamble, referring to to what has already been written regarding the presence of cart ruts in south-eastern Sicily. To proceed with this comparison I have chosen a probable capital and the corner of a recess present in a block of the northern walls of Eloro that would seem to resemble a pinax, that is, a niche that would have housed a fresco of the heroa, but which a more careful observation refers to a system functional to the grip of the block through a pincer winch. Both elements, like the curt ruts, have remained at the mercy of the elements for millennia, and are therefore subject to comparable wear and tear due to the passage of time. The finishing of the capital should be of a high standard, since it is an architectural element that also has an aesthetic function. The recess, on the other hand, should have...
THE PROBLEMATIC EDGES OF THE CART RUTS THE PROBLEMATIC EDGES OF THE CART RUTS
I will skip any preamble, referring to to what has already been written regarding the presence of cart ruts in south-eastern Sicily.As can be seen in other sites around the world, in some cart ruts I visited, in particular in the Cugni district in Pachino, in the Granati Vecchi district in Rosolini and in the Targia district in Syracuse, a clear border can be seen, a sort of frame, next to the grooves, more marked externally, barely noticeable internally. The borders I measured have a width of 14-20 centimeters and a height of 8-10 centimeters. Not all cart ruts have such frames present or particularly evident, regardless of the degree of wear or degradation. They are found above all in cart ruts with less deep grooves. As already described in detail, given the presence of furrows with a depth of even 65-70 centimeters, the wheels of a possible vehicle would have had to have a...
THE PROBLEM OF CART RUTS IN SOUTH-EASTERN SICILY (PART FOUR) THE PROBLEM OF CART RUTS IN SOUTH-EASTERN SICILY (PART FOUR)
Click here to return to third part Clapham Junction As in the Maltese site Misrah Ghar Il-Kbir, also in the Targia and Granatari Vecchi districts the cart ruts intersect and cross each other in a similar way to the track switches in a railway station. The nickname Clapham Junction that was given by David H. Trump to the Maltese site, derives precisely from the similarity with the famous English railway station. For Sagona these are agricultural furrows and water channels, for Mottershead, Pearson and Schaefer these are abandoned paths due to obstacles and wear. Obviously we do not know what the morphology of the Syracuse and Rosolini territory was at times when the cart ruts were traced, but considering the current context, there certainly would have been no agricultural reason to build them, given the presence of fertile land, springs and fresh water courses just a few kilometers...
THE PROBLEM OF CART RUTS IN SOUTH-EASTERN SICILY (PART THREE) THE PROBLEM OF CART RUTS IN SOUTH-EASTERN SICILY (PART THREE)
Click here to return to SECOND PART Considerations on the theses of Mottershead, Pearson and Schaefer I find this study extremely interesting, even if I am perplexed by this emphasis on the loss of hardness of the wet rock given that Malta is among the European territories at greatest risk of desertification (as is unfortunately also the south-eastern area of Sicily). We don't know exactly what the climate was like in Malta when the cart ruts were made, as we don't even know for sure how old they were made. However, it might be understandable to take the humidity factor as a starting point. n strong consideration, in relation to a territory constantly subject to rainfall, but why would the ancient Maltese have had to intensely travel with loaded carts right after a downpour, with all the inconveniences that for example the mud would have entailed? The Maltese territory is...
THE PROBLEM OF CART RUTS IN SOUTH-EASTERN SICILY (PART TWO) THE PROBLEM OF CART RUTS IN SOUTH-EASTERN SICILY (PART TWO)
Click here to return to FIRST PART The Greek chariot In relation to the faithful reconstructions of the tools used at the time, recently made in Selinunte and in Valle dei Templi, and in comparison with Study of a Roman Cart by Paola Miniero, the axles of Greek carts of the time had to be no higher than half a meter from the ground and the gauge (i.e. the distance between one wheel and the other) had to measure between 140 and 150 centimeters. They had to plausibly be pulled by at least a pair of pack animals (as represented in the numerous numismatic and artistic testimonies that have come down to us) and have wooden but iron-shod wheels. Another reference for estimating the gauge is the width of two oxen side by side: the width of an ox is about 70-80 centimeters, so the minimum gauge between one wheel and the other, to maintain a certain stability, had to be at least 140...
THE PROBLEM OF CART RUTS IN SOUTH-EASTERN SICILY (PART ONE) THE PROBLEM OF CART RUTS IN SOUTH-EASTERN SICILY (PART ONE)
Who I am Rereading the final draft of what I have written, I think it is appropriate to spend a few lines to introduce myself. I am Antonino Rampulla, owner of the agri-campsite whose website hosts this blog, a graduate in philosophy, with a growing passion for archaeology, born from curiosity for the archaeological sites of which, in particular, south-eastern Sicily is rich. Certain of my substantial ignorance on the subject, I try to make up for it by studying in my free time. However, not infrequently, I happen to come across historical certainties, academically shared, that clash a bit with what logic seemed to suggest to me from the observation of some details of the archaeological sites visited. So, simply, I ask myself questions and, with the most scientific approach possible, I try to look for answers. The result is the pretext to search for information, study and publish in...