IL PITONE MESSINESE NON È UN SERPENTE...
Fonte Foto: Antonino Rampulla
Il
pitone (o
pidone, per i puristi che non si sarebbero lasciati corrompere dal barbaro turpiloquio popolare) è una prelibatezza che ogni degna rosticceria messinese propone tra la proprie pietanze.
A differenza dell’arancino/a che si può assaggiare in ogni angolo della Sicilia (in ogni caso, in versioni e desinenze differenti),
del pitone si può godere quasi esclusivamente nei pressi della Città dello Stretto.
Si tratta, sic et simpliciter, di un calzone fritto a pasta non lievitata (o meglio, senza l'aggiunta di lieviti esogeni).
La versione più diffusa sull'origine del nome, rimanda all'italianizzazione del termine dialettale
piduni, in italiano "piedone", poiché la sua forma ricorderebbe banalmente un grosso piede.
Tuttavia la chiave interpretativa sull'origine del termine pitone più affascinante e probabilmente corretta, affonda le radici nella Sicilia greca. Riguarderebbe l'antica usanza di offrire alle sacerdotesse apollinee, le
pizie o
pitie (da pythía), focacce di farro e alloro, affinché
pro-piziassero favorevoli accadimenti futuri. Probabilmente tale tradizione ha originato non solo la greca
pita, ma anche l’albanese pite, la turca
pide, la romagnola
piadina (di plausibile eredità bizantina) e la calabrese
pitta, tutte preparazioni aventi a che fare con pane e focaccia. Curioso è anche il termine col quale gli ebrei chiamano le pagnotte di pane:
pat (per esteso,
pat lechem).
In relazione a tele ipotesi etimologica,
il termine più corretto è probabilmente proprio pitone rispetto a pidone, in quanto più vicino alla radice greca
pyth-.
Per approfondimenti rimando alla lettura de
Le origini storiche del pidone (o pitone) alla messinese.
Non esiste alcun disciplinare, quindi nessuna ricetta o procedimento ufficiale per la preparazione dei pitoni. Poiché si parte da un impasto non lievitato, quasi tutte le ricette reperibili in rete prevedono l'aggiunta di strutto o margarina per ammorbidirlo. La preparazione, proprio per l'eliminazione dei tempi di lievitazione, sarebbe teoricamente molto rapida. Tuttavia se si procede con un'"impropria"
autolisi per almeno sei ore e almeno un ciclo di pieghe, con olio d'oliva, un paio d'ore prima dello staglio, è possibile rinunciare senza alcun problema a strutto o margarina.
Condito tradizionalmente con gli stessi ingredienti utilizzati per la focaccia cioè pomodoro, tuma, scarola (indivia) e acciughe sott’olio, nelle rosticcerie di Messina il pitone tradizionale è però spesso proposto anche senza pomodoro.
La versione che proponiamo è frutto di sperimentazioni e scambi d'informazioni con il Dr. Corrado Rampulla e Giovanni Faraone (titolare della
Piccola Bottega Delle Golosità e di
Sicilian Savours)
L’IMPASTO
Per ottenerne 6, impastiamo 300 grammi di farina di grano tenero 00 (va benissimo una Maiorca siciliana, anche se si trovasse meno abburattata), 300 grammi di semola rimacinata (ad esempio, una siciliana Russello), con 200 grammi di acqua minerale, 100 grammi di vino rosato (un
Apollonia, ad esempio) o un bianco frizzante (anche un brut o un prosecco), 15 grammi di zucchero, 10 grammi di sale e 10 grammi di olio extravergine d’oliva. Lasciamo "riposare" l'impasto per almeno sei ore inframmezzate, dopo quattro ore da un ciclo di pieghe aggiungendo altri 10 grammi d'olio d'oliva.
LA “FORMA”
Formiamo panetti da 100 grammi, li lasciamo riposare un'ora e cominciamo gradualmente a stenderli, sfarinando con semola, fino a ottenere dischi da circa 22 cm (la grammatura risulta abbastanza sottile).
LA “FARCITURA”
Condiamo i "dischi" a metà con poche acciughe sott'olio spezzettate, un po' di tuma (in sostanza un pecorino non stagionato, quindi morbido), un po' di pomodoro (quando possibile, ciliegino o datterino rigorosamente di Pachino) e infine con un po' di scarola (indivia). Chiudiamo ripiegando la metà non condita a mo' di calzone. Vi consigliamo di oleare e salare lievemente pomodoro e scarola prima di farcire il pitone, in modo da introdurvi solo l’olio necessario e poco sale ben distribuito, e soprattutto di non esagerare con le acciughe (la cui sapidità potrebbe coprire il resto dei più delicati sapori).
LA FRITTURA
Friggiamo a immersione, preferibilmente in olio d’arachidi (facilmente reperibile nei supermercati, che ha come caratteristica un punto di fumo oltre i 220 gradi e un sapore quasi neutro), a una temperatura di 180-200 gradi (185-190 gradi se con friggitrice), dorandoli con decisione!
Fonte Testo: Antonino Rampulla
ARCHIVIO NEWS
CART RUTS MODELLATE SU ROCCIA MORBIDA?
Torna a CREMAGLIERA O ALLOGGIAMENTO PER GLI ZOCCOLI?
Alcune cart ruts di contrada Targia, a Siracusa, e la maggior parte delle cart ruts di Granatari Vecchi, a Rosolini, danno l’impressione di essere state impresse, modellate, su una roccia all’origine viscosa, non del tutto solida. Per quanto assurda possa sembrare quest’ipotesi, in particolare a Granatari Vecchi, la morbidezza delle forme e l’uniformità quanto meno anomala del banco roccioso, come se si trattasse di una gettata di cemento, che ospita le cart ruts, è un unicum rispetto al contesto litico in zona.
A Targia tale fenomeno è meno impressionante ma se si considerano le cart ruts essenzialmente carraie, quindi strade solcate derivanti indirettamente dal passaggio ripetuto dei carri lungo il medesimo tragitto, non si comprende il motivo per cui tale uniformità e levigazione sia presente, nella maggior parte...
CREMAGLIERA O ALLOGGIAMENTO PER GLI ZOCCOLI?
Torna a CART RUTS TRANCIATE DA CAVE D’ESTRAZIONE
In presenza di pendenze, anche leggere, in alcune cart ruts in contrada Targia, a Siracusa, si rilevano dei fori centrali dal diametro tra 30 e 50 centimetri e dalla profondità di 15-20 centimetri, distanti tra loro circa 50 centimetri. Non appare perfettamente regolare né la posizione (non sono esattamente al centro della carraia e perfettamente allineati tra loro), né la forma: o lo scorrere del tempo e l’eventuale usura ne hanno modificato profondamente l’originaria forma o, semplicemente, non hanno mai avuto una sistematica regolarità. Tuttavia lo sfalsamento di posizione tra un foro è l’altro, non è mai completamente “fuori asse”: c’è sempre una porzione larga una ventina di centimetri che coincide con la medesima porzione del foro precedente e susseguente. I fori meglio conservati e più definiti si...
CART RUTS TRANCIATE DA CAVE D’ESTRAZIONE
Torna a CART RUTS E QUALCHE SPORGENZA DI TROPPO
Salto ogni preambolo, rimandando a quanto già scritto in merito alla presenza di cart ruts nella Sicilia sud orientale.
La facile tendenza accademica è stata, nella maggior parte dei casi riguardanti le cart ruts, quella di considerarle in funzione delle latomie, ossia delle cave, con le quali molto spesso (ad esempio nei casi di contrada Targia o contrada Pizzuta) condividono lo stesso territorio.
Secondo tale tesi, le carraie si sarebbero indirettamente create a causa dell’usura della roccia a ogni passaggio di carri o slitte cariche di blocchi di pietra estratti. Non riprendo le argomentazioni fin qui esposte al fine di dimostrare che si tratta di una tesi che a un’analisi approfondita delle cart ruts ha fondamenta poco solide. Tuttavia aggiungo un tassello dimostrando la non plausibilità di una loro connessione in termini...
CART RUTS E QUALCHE SPORGENZA DI TROPPO
Leggi anche LA LEVIGATURA DELLE CART RUTS
Salto ogni preambolo, rimandando a a quanto già scritto in merito alla presenza di cart ruts nella Sicilia sud orientale.Vagliando la possibilità che le cart ruts siano state gradualmente scavate dal passaggio di carri trainati da animali da soma, ad esempio coppie di buoi, osservando determinati tratti delle cart ruts presenti in contrada Granatari Vecchi, a Rosolini, e in contrada Pizzuta, a ridosso della Riserva di Vendicari, sorgono due domande:
1. Perché costringere gli animali a passare su asperità e sporgenze alte, rispetto alla base dei solchi, anche 60-70 centimetri?
2. Perché, alla presenza di tali ostacoli, non optare per una deviazione?
Per Mottershead, Pearson e Schaefer tali sporgenze si sono manifestate a posteriori, poiché ai tempi dei passaggi dei carri, uno strato di terra ricopriva il banco roccioso, non...
LA LEVIGATURA DELLE CART RUTS
Leggi anche I PROBLEMATICI BORDI DEI SOLCHI DELLE CART RUTS
Salto ogni preambolo, rimandando a a quanto già scritto in merito alla presenza di cart ruts nella Sicilia sud orientale.
Per procedere a questo paragone ho scelto un probabile capitello e l’angolo di un incavo presente in un blocco delle mura nord di Eloro che parrebbe somigliare a un pinax, cioè a una nicchia che avrebbe ospitato un affresco degli heroa, ma che un’osservazione più accorta rimanda a un sistema funzionale alla presa del blocco tramite un argano a pinza. Entrambi gli elementi sono, come le curt ruts, rimasti per millenni in balia delle intemperie, soggetti quindi a un paragonabile logorio dovuto al passare del tempo. La rifinitura del capitello dovrebbe essere di alto livello, poiché elemento architettonico avente funzione anche estetica. L’incavo, invece, avrebbe dovuto esigere solo una rifinitura...
I PROBLEMATICI BORDI DEI SOLCHI DELLE CART RUTS
Salto ogni preambolo, rimandando a a quanto già scritto in merito alla presenza di cart ruts nella Sicilia sud orientale.Come riscontrabile anche in altri siti nel mondo, in alcune cart ruts da me visitate, in particolare in contrada Cugni a Pachino, in contrada Granati Vecchi a Rosolini e in contrada Targia a Siracusa, si rileva una netta bordatura, una sorta di cornice, a fianco ai solchi, maggiormente marcata esternamente, appena accennata internamente.
Le bordature da me misurate hanno una larghezza di 14-20 centimetri e un’altezza di 8-10 centimetri.
Non in tutte le cart ruts tali cornici sono presenti o particolarmente evidenti, a prescindere dal grado di usura o degrado. Si riscontrano soprattutto nelle cart ruts dai solchi meno profondi.
Come già ampiamente descritto, data la presenza di solchi dalla profondità anche di 65-70 centimetri, le ruote di un eventuale veicolo...
IL PROBLEMA DELLE CART RUTS NELLA SICILIA SUD ORIENTALE (QUARTA PARTE)
Clicca qui per tornare alla terza parte
Clapham Junction
Come nel sito maltese Misrah Ghar Il-Kbir, anche nelle contrade Targia e Granatari Vecchi le cart ruts si intersecano e si incrociano in modo simile agli scambi dei binari in una stazione ferroviaria. Il soprannome Clapham Junction che è stato dato da David H. Trump al sito maltese, deriva proprio dalla somiglianza con la nota stazione ferroviaria inglese. Per la Sagona si tratta di solchi agricoli e canali d’acqua, per Mottershead, Pearson e Schaefer si tratta di percorsi abbandonati per via di ostacoli e usura. Non sappiamo ovviamente quale fosse la morfologia del territorio siracusano e rosolinese ai tempi in cui furono tracciate le cart ruts, ma considerando il contesto attuale, di certo non ci sarebbe stato alcun motivo agricolo per realizzarle, data la presenza di terreni fertili, di fonti e corsi d’acqua dolce...
IL PROBLEMA DELLE CART RUTS NELLA SICILIA SUD ORIENTALE (TERZA PARTE)
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Considerazioni sulle tesi di Mottershead, Pearson e Schaefer
Trovo tale studio estremamente interessante, anche se mi perplime quest’enfasi sulla perdita di durezza della roccia bagnata dato che Malta è fra i territori europei a maggior rischio di desertificazione (come lo è purtroppo anche la zona sud orientale della Sicilia). Non sappiamo esattamente che clima ci fosse a Malta durante la realizzazione delle cart ruts, dato che non sappiamo nemmeno con certezza a che epoca risalgano. In ogni caso, potrebbe essere comprensibile prendere il fattore umidità in forte considerazione, in relazione a un territorio costantemente soggetto a precipitazioni, ma per quale motivo gli antichi maltesi avrebbero dovuto intensamente fare viaggi con carri carichi proprio dopo un acquazzone, con tutti i disagi che per esempio il fango avrebbe...