COME APRIRE UN AGRICAMPEGGIO IN UN SISTEMA EUFEMISTICAMENTE MIOPE
COME APRIRE UN AGRICAMPEGGIO IN UN SISTEMA EUFEMISTICAMENTE MIOPE
Fonte Foto: Giuseppe Perdichizzi
Era la tarda estate del 2009 e dalla Cantina dei miei zii, Vini Sultana, all’imbrunire, osservavo la vigna e l’uliveto impiantati tempo addietro dal mio lungimirante nonno. Lì i tramonti sono parecchio ammalianti, forse per la morbidezza delle colline e delle campagne pachinesi, forse per il fascino antico dei ruderi di vecchi casolari, forse per la rilassante stanzialità degli Iblei in lontananza. E lì, probabilmente influenzato anche dai tanti magnifici anni trascorsi nello scoutismo, mi è sembrato di scorgere delle tende tra gli ulivi. No, non si trattava di nessun campeggiatore abusivo ma semplicemente della mia immaginazione galoppante in preda all’urgenza di dover combinare qualcosa per la mia futura sussistenza… Stavo infatti concludendo il mio percorso di studi in filosofia e presto mi sarei potuto fregiare del titolo di Dottore Magistrale in Filosofia Contemporanea, laurea teoricamente “abilitante” all’insegnamento. Tranne per poi scoprire (ma era già nell’aria da tempo) che stavano scherzando: si sarebbe dovuto comunque accedere al Tirocinio Formativo Attivo, cioè il sostituito delle vecchie Scuole di Specializzazione per l’Insegnamento che sarebbero dovute essere, appunto, sostituite dalle Lauree Magistrali. Oggi i miei determinati ex colleghi d’università scoprono, alla soglia dei quarant’anni, che lo scherzo continua, perché oggi il (costoso) conseguimento del TFA sembrerebbe non aver alcun valore. All’epoca, fiutai in tempo che qualcosa non quadrasse, quindi, tra lo studio di Heiddeger e Searle, cominciava a balenarmi sempre più spesso in mente che avrei dovuto cercare un’alternativa all’idea di vedermi, nel futuro prossimo, in mezzo a degli speranzosi studenti nell’aula di un liceo.
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Decisi quindi di provare a mettere in piedi un campeggio fra gli ulivi di mio nonno. Solo che quel terreno e quello a fianco che avrei in seguito acquistato, ovviamente con i soldi di papà, erano e rimangono agricoli: quindi avrei prima dovuto costituire un’azienda agricola con tutti i requisiti strutturali e professionali occorrenti (fortunatamente avevo già alle spalle l’esperienza di un paio di vendemmie…), per poi richiedere un nulla osta agrituristico all’Ispettorato Provinciale dell’Agricoltura grazie al quale il Comune di Noto mi avrebbe rilasciato le autorizzazioni necessarie alla sua realizzazione. Semplice, no? Lo credevo anch’io…
Quelli erano anche i rampanti anni del celebre Piano di Sviluppo Rurale 2007-2013, susseguente all’epoca d’oro di abusi e sperperi delle precedenti elargizioni di fondi europei: gente che richiedeva fondi per un magazzino agricolo ma che finiva per “finanziarsi” la costruzione del mega villone di lusso da tempo desiderato o “giovani imprenditori” che investivano le varie decine di migliaia di euro cadutegli dal cielo europeo per scorrazzare su una fiammante Mercedes. I controlli sulle spese, da parte dell’Europa, (giustamente) si fecero più capillari e quindi non fu più semplicissimo vedersi attribuire gli agognati finanziamenti a fondo perduto. Nonostante avessi tutte le carte assolutamente in regola, si aggiungeva però il determinante fattore “congelamento dei fondi europei” (così ermeticamente definito dagli esperti) a causa di “ritardi ed errori burocratici” da parte del personale addetto della Regione Sicilia. Alla fine , relativamente a quel PSR, le somme elargite furono, per accertatissimi “problemi burocratici”, una percentuale irrisoria rispetto a quanto concesso da mamma Europa. Stupisce quindi la contestuale denuncia che l’ex Presidente della soppressa Provincia di Siracusa, Nicola Bono, presentò alla Corte dei Conti richiedendo un’indagine relativa a 200 milioni di euro scomparsi nel nulla … Morale della favola? Ho perso anni di tempo in attesa che tali fondi si “sbloccassero” (nessun agronomo, tecnico o funzionario regionale era in grado di definire quanto si sarebbe ancora dovuto aspettare). Quindi grazie a papà, Generale dell’Esercito Italiano fresco fresco di pensionamento, ho potuto proseguire in autonomia nella realizzazione del progetto, a prescindere dal PSR “congelato”. Se tra le righe non dovesse stranamente evincersi, senza i soldi di papà non avrei concluso nulla.
Dopo cinque anni di burocrazia, tra confusione sulle versioni temporali delle leggi di riferimento, uffici scarsamente aggiornati e poco avvezzi all’utilizzo dei mezzi informatici, rimandi di responsabilità tra enti fra loro non comunicanti, sono riuscito finalmente ad aver in mano un’insperata quantità di “carte” da permettermi di dormire sonni quasi sereni. Sì, perché ancora, dopo sette anni, non mi dispiacerebbe inserire un altro paio di tasselli al mosaico delle autorizzazioni. In un agricampeggio perfino vendere un caffè a un ospite non è affare di poco conto: si dovrebbero teoricamente avere piantagioni di caffè.
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Inizialmente consideravo la cornice agricola, entro la quale ero costretto a stare per occuparmi di ricettività, una palla al piede per via delle tante limitazioni. In realtà si è rivelata un’ancora di salvezza, poiché il regime fiscale agricolo concerne una serie di agevolazioni e possibilità che nel mio caso si sono rivelate assolutamente vitali. Per i dettagli rimando alla consulenza di tanti bravi commercialisti… I primi cinque anni si dice corrispondano al periodo cruciale che determina la sopravvivenza o il fallimento di un’attività assimilabile alla mia: io sono riuscito a rimanere a galla anche grazie a contingenze eccezionali, quali l’essenziale supporto e apporto economico da parte dei miei familiari che mi ha permesso regolarmente di reinvestire quasi interamente il ricavato annuo dell’attività. Non giurerei che con la mia sola “bravura” sarei riuscito a far crescere e dare solidità alla mia attività. La realtà è che ero e rimango un privilegiato sociale.
I miei collaboratori sono sempre stati amici fidati: in altre parole, non mi è mai scomparso un solo euro. Tra noi c’è sempre stato un rapporto di estrema fiducia, tra pari: non ho mai cercato “dipendenti” ma “soci di fatto”. Questo clima ci ha permesso di ottimizzare le risorse economiche disponibili, concordare gli investimenti e stabilire con serenità quanto e in che modo compensarli. Il mio impegno sarebbe stato continuare a investire sull’attività, perché con una torta più grande le porzioni sarebbero cresciute per tutti. Se fosse mancata questa “fiducia” e complicità e avessimo esclusivamente applicato la logica del nostro immediato ed egoistico utile, senza disposizione a piccoli sacrifici e opportuni compromessi, i costi fiscali non sarebbero stati sostenibili e compatibili con la crescita dell’attività. E non mi sto riferendo ad assunzioni irregolari o lavoro in nero, semplicemente alla flessibilità al riguardo che il regime fiscale agricolo consente. Ovvio che ancora l’impresa non ha la forza economica per garantir loro uno stipendio annuale, essendo tra l’altro un’attività stagionale, ma il percorso è tracciato…
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Conti alla mano, pur considerando la naturale collocazione nel regime fiscale agricolo, se fosse mancata anche solo una delle condizioni contingenti che si sono verificate dopo l’investimento iniziale, la migliore delle previsioni che si sarebbe potuta realizzare è un guadagno annuo insufficiente a garantire investimenti di sostanza (a meno di non indebitarsi tentando la sorte), tuttavia adeguato a sostenere una singola assunzione stagionale. In altre parole, sarebbe stata impossibile alcuna crescita.
Fortunatamente oggi la reale potenzialità economica dell’impresa è ben diversa, figlia però di scelte quanto meno più rischiose e di lievi apporti di “capitale correttivo”, post investimento iniziale, non strettamente derivante dall’attività imprenditoriale. L’attività continua a svilupparsi perché economicamente sana e fattori consequenziali quali un superiore afflusso di ospiti derivante dalla maggiore offerta e dalla crescente reputazione guadagnata (tramite le recensioni online, ma questa è un’altra storia di amore e odio che avrò piacere a raccontarvi in un'altra occasione) fanno il paio col fondamentale apporto del “capitale umano”, ossia delle bellissime persone di cui mi sono circondato, vero motore dell’Agricamping Sophia.
Se reale è la volontà dello Stato Italiano nel trovare una soluzione alla lunga crisi occupazionale che attanaglia i nostri non felicissimi tempi, sono persuaso sia necessario agevolare la nascita di nuove imprese e permettere loro realmente di crescere senza vedersi infilare bastoni fra le ruote dallo stesso Stato. In questi primi sette anni d’attività posso vantarmi di aver dato una boccata d’ossigeno a una decina di persone, quindi di famiglie. Certamente non gli ho cambiato radicalmente la vita, ma assieme abbiamo gettato delle solide fondamenta o, male che vada, sperimentato un metodo funzionante. Una neonata impresa assimilabile alla mia, per i primi cinque anni di vita non dovrebbe perdere troppo tempo ed energie a rincorrere una complicata burocrazia, ma pensare esclusivamente a pagare più che adeguatamente i propri “dipendenti” e reinvestire una buona percentuale del fatturato al fine di migliorarsi e implementare le condizioni per la propria crescita. Tali imprese, a maggior ragione se per cominciare si fossero sobbarcate un prestito bancario, dovrebbero quindi essere totalmente detassate (nessuna imposta, nessuna tassa, nessuna ritenuta) per i primi cinque anni, a patto di assumere personale e continuare a investire. Dal sesto anno, se tutto andasse secondo i piani, l’impresa di turno non avrebbe alcuna difficoltà a cominciare a pagare allo Stato il dovuto, il quale si ritroverebbe così con introiti ben più consistenti derivanti da un’impresa solida e con qualche disoccupato in meno tra i propri cittadini. Invece della gallina domani, oggi lo Stato si accontenta dell’uovo potenzialmente già marcio.
Fonte Testo: Antonino Rampulla
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