ARANCINO AL SUGO DI CARNE: LA MIA VERSIONE.
ARANCINO AL SUGO DI CARNE: LA MIA VERSIONE.
Fonte Foto: Antonino Rampulla
Se si vive in Sicilia si sa: metà delle chiacchierate tra amici e parenti verte sul mangiar bene. Parliamo di cibo anche mentre mangiamo e perfino quando abbiamo finito (e si finisce solo quando si è ben oltre il senso di sazietà, altrimenti per la nonna “nun manciasti nenti!”) Aperitivo? Brunch? Qui da noi esistono solo tre appuntamenti col cibo: colazione, pranzo e cena. E vi assicuro che sono sufficienti…
Oggetto ricorrente delle suddette chiacchierate è il chiodo fisso di ogni siciliano: dove mangiare il miglior arancino della Sicilia. Sarebbe però più facile stabilire se sia nato prima l’uovo o la gallina. Perché noi siciliani non siamo d’accordo nemmeno sul genere: arancino o arancina? Ma questa è un’altra storia… Ogni capoluogo ha la sua tradizione (la sua panatura, la sua tipologia di sugo/ragù, etc.) e il suo campanilismo, ogni rosticceria i suoi segreti. Quando ci si imbarca in discussioni sull’arancino fra siciliani, bisogna solo sperare che si concluda in tempi ragionevoli con un diplomatico e inevitabile de gustibus non disputandum est, altrimenti preparatevi pure a interminabili argomentazioni che finiranno per farvi passare la notte in bianco…
Alla luce della mia iperuranica idea di arancino (che quasi mai viene pienamente soddisfatta dai miei innumerevoli assaggi in giro per la Sicilia), ho deciso di cimentarmi tra i fornelli e di tirar fuori la mia versione dell’arancino. Con umiltà e nessuna pretesa di darvi la vera ricetta ma solo un’interpretazione dell’arancino, io lo faccio così.

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PRIMO ASSUNTO: IL RISO NON DEV’ESSERE SCOTTO

Uso sempre qualità di riso da risotto, ad esempio Carnaroli o Roma, perché non cuocio il riso secondo un rapporto prestabilito tra acqua e riso (metodo per lo più tradizionale) ma a risotto, quindi aggiungendo via via brodo fino a quando non ottengo il tipo di cottura desiderato. Il riso da risotto è particolarmente adatto perché rilascia nel liquido in cui si cuoce, una determinata quantità di amido che poi sarà il collante che terrà assieme i chicchi di riso per dare forma all’arancino. Per la cottura a risotto, rimando al metodo magistralmente descritto da Alla Bay in Cuochi si diventa, che per me è una sorta di Bibbia culinaria, che prevede come passaggi obbligati (ovvietà per i milanesi…) tostatura, cottura a risotto e mantecatura finale. Se l’arancino è al sugo di carne, per la cottura del riso utilizzo un brodo di carne, fatto con lo stesso tipo di carne del sugo. Quindi faccio un soffritto di scalogni, rosolo la carne (a fiamma bassa, altrimenti si bruciano gli scalogni) e aggiungo tanta acqua in relazione alla quantità di riso che desidero cuocere (con un chilo di riso si riescono a fare anche 30-40 arancini). Più carne si utilizza per il brodo, più il brodo è saporito: ma questa è la scoperta dell’America nel bagghiolo, come amiamo dire in Sicilia… Non metto sale nel brodo: salo via via il risotto mentre lo cuocio. Quindi dico un’altra ovvietà: assaggiate man mano che cucinate e valutando la sapidità aggiungete con moderazione sale. A metà cottura aggiungo tanto sugo (del sugo ne parliamo dopo) quanto basta a colorare sufficientemente il riso. A cottura del riso terminata (rigorosamente al dente!!!), aggiungo il sugo, manteco con un po’ di olio exravergine d'oliva e parmigiano/grana/pecorino (de gustibus…) fino a raggiungere il sapore che più mi soddisfa: dev’essere a tutti gli effetti un gustosissimo risotto! Poi metto il risotto in una ciotola, faccio raffreddare, metto in frigo e me ne dimentico fino all’indomani. Sì, avete letto bene, me ne dimentico fino all’indomani. Il riso continuerà così ad assorbire liquidi: se è troppo cotto, l’indomani mi ritroverò con una pappetta immangiabile.

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SECONDO ASSUNTO: IL SUGO SIMILBARILLA NON VA BENE…

Certamente, con un bel sugo pronto preso dallo scaffale del supermercato, si risparmierebbero un paio d’orette di lavoro. Tuttavia per ottenere un buon arancino bisogna partire dal sugo migliore possibile che si possa cucinare. Sul sugo/ragù (in relazione alle coordinate geografiche cambia il termine, ma la sostanza è la medesima), tutte le nonne e le mamme siciliane mi farebbero scuola e doposcuola. Io comunque lo faccio così. Parto da un soffritto di scalogno, sedano e carota, a fiamma bassissima, altrimenti si brucia lo scalogno. Aggiungo carne di prima scelta (tenera, molto tenera) di manzo e suino (anche salsiccia, per dare una bella botta di sapore, che nel pachinese viene impastata col vino bianco), tagliata con un bel tagliente coltellaccio, a mano, a piccoli cubetti. Dopo un po’ aggiungo un bel cucchiaio di concentrato di pomodoro, amalgamo e subito dopo aggiungo della passata di pomodoro (datterino e ciliegino). Regolo di sale e zucchero (per bilanciare un po’ l’acidità del pomodoro), aggiungo qualche foglia di alloro e lascio cuocere, sempre a fuoco lento, per circa un’ora. A cottura quasi ultimata regolo anche di pepe e aggiungo qualche foglia di basilico e menta (quando sono freschi e disponibili). Lo scopo è ottenere un sugo poco liquido, molto concentrato.
Esistono tante varianti di sugo, con i piselli, senza piselli, con il solo soffritto di cipolla, con la sfumata di vino bianco o rosso, etc. etc. Prima o poi riuscirò a provarle tutte…
Aggiungo al riguardo semplicemente una postilla sul vino (che eventualmente si sfuma sulla carne, prima di aggiungere il concentrato e la passata): io, come vuole il buon Allan Bay, lo aggiungo solo senz’alcol (basta riscaldarlo prima, in un pentolino, per farlo evaporare), altrimenti si rischia di aggiungere amarezza e acidità a una pietanza già tendenzialmente acida, in quanto a base di pomodoro.

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TERZO ASSUNTO: LA DOPPIA PANATURA

Il giorno successivo, con la mano a palmo chiuso, a conca, si raccoglie tanto riso quanto necessario ad avvolgere un tocchetto del migliore formaggio a pasta “morbida” che riuscite a procurarvi: tuma fresca, canestrato, provola ragusana, etc. La quantità di formaggio dev’essere ben proporzionata alla grandezza della pallina di riso: il mio consiglio è di non eccedere con le dimensioni. Rotolo quindi delicatamente questa pallina di riso in una ciotola di pangrattato, la immergo in uova sbattute, lascio scolare l’uovo in eccesso e la rotolo nuovamente nel pangrattato. Lascio riposare gli arancini un po’ in frigo, in modo che l’uovo si asciughi e solidifichi un po’.

QUARTO ASSUNTO: TEMPERATURA E OLIO DI FRITTURA

Li friggo in friggitrice a 165-170 gradi in abbondante olio di arachidi (l’olio deve interamente ricoprire gli arancini), finché risultino abbondantemente dorati. Friggendoli in olio più caldo si rischia di non far fondere il formaggio all’interno dell’arancino e di bruciarli esternamente. La friggitrice conferisce quell’uniformità di cottura che in pentola o padella non sono mai riuscito a dare.

COME DEVE PRESENTARSI L’ARANCINO

La panatura dell’arancino dev’essere croccante, dorata. I chicchi di riso definiti, separabili l’uno dall’altro. Il riso non deve risultare asciutto, ma tanto umido e condito quanto un ottimo risotto. Il sapore complessivo dev’essere pieno e gustoso. Accompagnate con un Rosato di Nero d’Avola Sultana e…scialatevi!
Fonte Testo: Antonino Rampulla
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